Il bilinguismo infantile
AUTRICE: Dott.ssa Ludovica Turchetti
FONTE: Club delle Mamme -MAMMAMAG- (magazine); numero di settembre/ottobre 2019
Fin dalle prime ore di vita il bambino riconosce suoni, voci, intonazioni e ritmi.
Verso i due mesi distingue il suono di alcune parole e più tardi produce naturalmente balbettii e gorgheggi.
A quattro mesi circa il bambino comincia a comunicare con l’adulto attraverso interazioni non verbali, mostrandosi ricettivo soprattutto agli aspetti musicali del linguaggio.
È propriamente la prerogativa di cogliere il suono delle parole che permette al bambino di interiorizzare la capacità di produrre più tardi i suoni di tutte le lingue.
Verso il primo anno ha inizio la fase produttiva in cui è in grado di comprendere le parole per poi riprodurle in maniera più simbolica che effettiva.
Generalmente il tentativo di parola contiene una serie di duplicazioni, ossia il doppio concatenarsi della stessa sillaba.
Verso i tre anni il bambino comincia a prendere coscienza del sé, in quanto creatura disgiunta, sviluppando il desiderio di entrare in relazione con la dimensione esterna.
Attraverso le sue domande (epoca dei “perché”) il vocabolario si arricchisce sempre più sviluppando la capacità di contestualizzare il linguaggio secondo la realtà che lo circonda.
Dai quattro ai sei anni la sua competenza linguistica si affina in maniera esponenziale.
Spiegherò in che modo il bilinguismo puo’ sedimentare durante le varie fasi dello sviluppo del linguaggio.
Esistono due tipi di bilinguismo: quello simultaneo e quello consecutivo.
Il primo, quello simultaneo, nasce in un contesto famigliare in cui ogni genitore adotta una lingua differente, il secondo è quello che sedimenta quando il bambino è immerso nell’acquisizione di una lingua a casa e contemporaneamente ne apprende una seconda nel contesto scolastico.
Il bilinguismo simultaneo si snoda in maniera naturale, infatti il bambino familiarizza con i fonemi appartenenti alle due lingue trasmesse.
Paradossalmente il bambino non coglie l’entità di due lingue differenti, infatti si specializza nel linguaggio come farebbe relativamente a un apprendimento monolinguistico, in maniera molto naturale.
Le manifestazioni verbali, ossia i gridolini, i gorgheggi e balbettii vanno a ridursi progressivamente fino a restringersi agli aspetti fonetici e intonativi di entrambe le lingue in via di assimilazione.
In sintesi, il bambino interiorizza una vasta gamma di fonemi facenti parte di due lingue che non differenzia, il risultato è che le sillabe selezionate vanno a formare una lingua unica.
Separerà poi i due lessici differenti, mischiando però le forme grammaticali, fino a quando l’aspetto sintattico e fonologico troverà un nuovo ed efficace ordine.
A volte accade che dopo i tre anni di vita il bambino solo apparentemente mostri ancora una confusione di forma (parlata specificatamente bilingue), ma questo rappresenta una tappa di passaggio che non costituisce affatto un’incompetenza linguistica come spesso erroneamente viene trasmesso.
Il bambino potrebbe infatti articolare alcune parole che rispondono alle sonorità di una lingua, rafforzando però le regole morfologiche e sintattiche dell’altra in via di assimilazione.
Grazie ai rinforzi positivi degli adulti di riferimento che lo “correggeranno” in maniera intelligente, il bambino affinerà e comprenderà la separazione tra le due lingue distinte.
La comunicazione con i suoi coetanei nel suo contesto sociale contribuirà ad adattare e affinare le sue competenze per essere compreso e per comprendere al meglio.
Molto spesso accade che il bambino preferisca utilizzare una lingua, trascurando l’altra, è comunque sempre molto importante lasciarlo libero di manifestare ciò che più gli risulta naturale.
Per quanto riguarda invece il bilinguismo consecutivo, quello sviluppato nel contesto sociale, il bambino è già padrone di una conoscenza di base profonda della lingua madre appresa nel contesto famigliare, quindi avrà più facilità a interiorizzare una seconda lingua.
Vorrei puntualizzare un concetto a cui tengo molto: l’epoca iperdiagnostica in cui viviamo porta gli addetti ai lavori a trovare nelle delicate fasi di sviluppo dei linguaggi del bambino tratti disturbati e anomali che portano a una diagnosi medica.
A mio avviso e secondo la mia esperienza pluriennale non si tratta di ritardo del linguaggio, ma di falso ritardo del linguaggio che merita rispetto, calma e attenzione produttiva ed efficace.
Il ritardo sarà provvisorio, giacché non esistono oltretutto tappe standardizzate e universali, infatti ogni bambino sboccia a seconda delle personali peculiarità e caratteristiche uniche.
Verso i quattro, cinque anni il bambino assesterà le personali competenze relative a entrambe le lingue.
È necessario non allarmarsi se si ha l’impressione che qualcosa non vada come dovrebbe, è bene piuttosto interpellare uno specialista che possa chiarire la situazione a seconda del caso specifico, illustrando se occorre qualche strategia, per far emergere tutte le ricchezze del caso.
La diffusione di ansia può risultare nociva e arrestare ogni fase di apprendimento, sia per una lingua che per l’altra.
Il bilinguismo rappresenta una grande ricchezza, infatti fa in modo che il cervello sviluppi maggiore elasticità e capacità di relativizzare rispetto a un bambino monolingue.
Il bambino bilingue dimostra un’attività neuronale più intensa in alcune aree cerebrali, rafforzando la plasticità del cervello in maniera significativa.
Sostenere quindi che il bilinguismo sia una ricchezza risulta quasi riduttivo, qualsiasi siano le lingue interessate, anzi, maggiormente saranno differenti le lingue apprese più sarà l’esercizio cerebrale che il bambino dovrà sostenere, senza che questo rappresenti mai una fatica, ma uno stimolo buono e produttivo.