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Mio figlio parla male, avrà un disturbo nell’apprendimento scolastico ?

AUTRICE: Dott.ssa Ludovica Turchetti

FONTE: Club delle Mamme – MAMMAMAG – (magazine) in data 17/07/2019

Da tanti anni mi sento rivolgere questa domanda: “MIO FIGLIO PARLA MALE, AVRA’ UN DISTURBO NELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO?”.
Da sempre la mia risposta più naturale e immediata è: “MA PERCHE’ MAI?”.
Perché i genitori esprimono questa equivalenza?
Perché relazionare una fatica nell’eloquio spontaneo, o un ritardo del linguaggio più importante, ad un disturbo nell’apprendimento scolastico nel futuro?
Perché purtroppo ovunque si legge proprio questo, ossia che i segnali che preannunciano un futuro disturbo nell’apprendimento scolastico possono essere: limiti di espressione verbale, competenze visuo-spaziali e di rappresentazione grafica scarse, fatica nell’astrazione dei concetti più o meno fini, memoria e attenzione altalenanti.
Si parla addirittura di dislessia prescolare.
Facciamo chiarezza.
L’apprendimento è una dinamica magica che racchiude equilibri complessi, delicati, ma soprattutto molto personali.
Non è possibile parlare di dislessia prescolare, dal momento in cui gli apprendimenti legati ai processi di lettura e scrittura si manifestano durante la scuola primaria.
Il bambino è in continuo e fitto sviluppo, perché penalizzare le sue competenze quando è ancora in formazione?
È plausibile che un bambino possa mostrare già dai primi anni di vita una o un insieme di fatiche che possano far pensare ad un ritardo nello sviluppo ma, secondo la mia esperienza, ogni pseudo ritardo corrisponde sempre ad un’evoluzione strettamente personale.
La mia storia lavorativa mi mostra quotidianamente quanto ogni bambino, se supportato con rispetto e delicatezza, possa essere in grado di uscire dalle proprie fatiche, senza essere etichettato all’istante come un portatore di deficit futuro.
Le atipie nello sviluppo delle competenze linguistiche, percettive e grafiche esprimono semplicemente una maturazione più o meno lenta, o perlomeno atipica, ma non possono assolutamente preannunciare un disturbo futuro nell’apprendimento scolastico.
Questo vuole significare che lo sviluppo delle abilità di ogni bambino riporta unicamente ad una singolare forma di rallentamento da monitorare con rispetto.
Conosco bambini che tacciono fino ai tre anni di vita e improvvisamente eruttano come un vulcano, altri che sembra parlino in alfabeto cirillico, mentre stanno solo operando un’operazione di selezione di stimoli assolutamente personale e mai casuale.
Questo non significa che il bambino con un ritardo nel linguaggio debba essere trascurato, in quanto creatura da far sbocciare in assoluta libertà e senza alcuna interferenza esterna, piuttosto che venga sostenuto da uno specialista nel momento in cui mostra segnali di rabbia, o frustrazione, poiché non viene compreso e a volte isolato.
Attraverso un sostegno esterno specialistico non si vuole scongiurare un’ipotetica dislessia in futuro, bensì evitare al bambino l’incancrenirsi di un sentimento vivo di frustrazione attuale, alimentato dal non poter interagire efficacemente con il contesto sociale.
La tendenza attuale è quella di diagnosticare nell’immediato, senza voler prima attuare un insieme di formule intelligenti che possano semplicemente facilitare il percorso di crescita del bambino, ora e soltanto ora.
Il risultato della disinformazione e di una forma ignorante di comunicazioni vuole quasi diagnosticare in anticipo il bambino che semplicemente mostra tempi e modi di sviluppo personali e unici.
Spesso mi si chiede quali siano le tappe di evoluzione del linguaggio, io rispondo con puntuale disaccordo, nel senso che a mio parere non assumono un significato assoluto, vero e categorico.
Secondo l’informazione comune ne nasce quindi un grande equivoco: ritardo nel linguaggio, uguale dislessia, disortografia, disgrafia, disprassia e/o discalculia, ossia un disastro preannunciato con un anticipo di circa cinque anni.
La spinta che porta un genitore a controllare lo stato del proprio bambino presso una logopedista corrisponde spesso alla paura che il bambino stia alimentando difficoltà stratificate in vista della scuola primaria, ignorando invece un insieme di sentimenti più attuali, quali il senso di impotenza rispetto ad una qualità di comunicazione inefficace.
Nel momento in cui scopro una difficoltà nell’eloquio spontaneo dirotto le attenzioni verso l’immediato, quindi verso l’efficacia dello scambio verbale presente e, attraverso un metodo che non vuole creare pressioni e stanchezze, sciolgo le fatiche di oggi, non considerando minimamente ciò che puo’ accadere un domani.
Perché avviene questo? Perché la strada verso l’allarmismo è sempre aperta?
Perché viviamo in un mondo all’insegna della manifestazione più esteriore, la tendenza è quella di fissare l’attenzione lì e solo lì, senza badare alla vera sostanza, quella più intima.
Non casualmente ci troviamo nell’epoca iperdiagnostica, a casa, a scuola, ovunque.
Etichettare è più semplice e veloce, nel caso specifico della -dislessia prescolare- alcuni specialisti classificano a priori, secondo valori e riferimenti universali.
Inoltre, il bambino nel suo essere unico viene raramente esaltato, la sua storia personale dimenticata, i suoi particolari caratteriali tralasciati.
Il mio consiglio è quello di diffidare di preconcetti superficiali e standardizzati, di occuparsi non tanto della perfezione della manifestazione, bensì dello stato più emotivo del bambino.
Se ancora il suo linguaggio non è adeguato alla sua età cronologica non significa debba essere necessariamente dislessico o discalculico in futuro, se ancora non parla bene è opportuno intervenire se manifesta un disagio, non prima.
L’intervento più mirato dovrebbe essere quello relativo ad una presa in carico nell’immediato, non per scongiurare un disturbo nell’apprendimento scolastico durante la scuola primaria.
Mi succede molto spesso che diversi genitori di bambini che nel tempo ho preso in carico per un lieve o più marcato ritardo nel linguaggio mi trasmettano pagelle recenti veramente entusiasmanti e lodevoli, questo dimostra quindi che il parlatore tardivo, o il bambino che confonde qualche lettera, non sia necessariamente destinato ad avere particolari difficoltà in futuro.
Per contro ho conosciuto bambini che hanno rispettato l’insieme dei riferimenti canonici di sviluppo del linguaggio eppure, secondo la strana regola del paradosso, hanno poi in futuro manifestato qualche fatica nell’apprendimento scolastico.
Questo significa che il bambino non deve rappresentare un calcolo matematico, bensì unicamente la sua storia, fatta di modi, inclinazioni e universi cognitivi e più intimi sempre unici.
Il bambino non è né un calcolo, né una probabilità.
Credere nell’allarme può essere paralizzante e inutile, vivere il momento puo’ ristabilire l’equilibrio, nel senso del rispetto e del giusto.